Presentazione inaugurale di Cervelli in Gabbia
Palazzo dei Congressi, EUR, Roma, ore 21, sala Campana
Sintesi degli interventi
 

Il giorno 9 dicembre 2005, presso il Palazzo dei Congressi, EUR, Roma (ore 21, sala Campana) si è svolta la presentazione inaugurale del nuovo libro ADI "Cervelli in Gabbia - Disavventure e peripezie dei ricercatori italiani" nell'ambito della manifestazione "Più libri più liberi". Sono intervenuti:

  • Piero Angela (giornalista RAI e conduttore di SuperQuark)
  • Luca Tancredi Barone (giornalista, Radio 3 Scienza)
  • Augusto Palombini e Flaminia Sacca' (comitato editoriale Cervelli in Gabbia)
  • Raffaele Simone (docente di Linguistica, Universita' di Roma 3 )
  • i cervelli in gabbia co-autori del libro: Roberto Battiston (docente di Fisica, Università di Perugia) e Chiara Peri (orientalista, Dottore di Ricerca)

All'evento erano presenti poco meno di un centinaio di persone, fra cui molti visitarori occasionali del Salone. Segue una sintesi di alcuni interventi.

Luca Tancredi Barone (Giornalista, Radio 3 Scienza)
Sono qui perché sono anni che in qualche modo mi occupo di politica della ricerca in questo paese. Ero dentro, poi pronto a saltare (quando con Augusto abbiamo curato il predecessore di questo libro) e poi dall'altro lato della barricata. Leggendo il libro, che vi consiglio, mi sono estraniato pensando a cosa avrebbe detto un inglese, un tedesco o un francese, per non parlare di uno scandinavo a leggere cosa si scrive in Italia nel 2005. Cose che si sarebbero dovute scrivere 20 anni fa e ancora stiamo qui a dircele.
Di quanto sarebbe utile valorizzare il ricercatore non solo come investimento strutturale nel paese (quello della società della conoscenza, sempre a venire però!), ma anche nell'impresa, e anche forse ancora più banalmente nella pubblica amministrazione, nella scuola. Dove lo capisce anche un bambino che una persona preparata è
più utile di una persona non preparata.Ma tant'è. Annoiamoci a dirci fra di noi sempre le stesse, banali, cose.
Quello che credo però è che non ci sia nulla da fare. Chiunque si occupi anche solo tangenzialmente del mondo della ricerca sa che le storie di Johanna Doe, l'anonima (comprensibilmente) autrice di una agghiacciante storia del libro, o Emiliano Bruner o Chiara Alisi e gli altri, sono tutte emblematiche e niente affatto sorprendenti. Alzi la
mano chi trova anche una sola di queste storie implausibili. Magari diranno che non succede sempre così, ma nessuno sobbalzerà sulla sedia come farebbe uno slovacco qualsiasi. In un altro paese un libro come questo avrebbe le prime pagine di tutti i giornali. In Italia, qualche lacrimuccia per il cervello che non può mangiare il ragù della mamma e una pur lodevolissima puntata di una trasmissione televisiva. Fine.
Ma non è tutta colpa dei giornalisti. Il mondo universitario in questo paese - absit iniuria verbis - fa schifo. E quello che leggerete è solo la punta dell'iceberg. E cercatemi uno solo (da uno studente a un ordinario) che difenda questo sistema. Tutti ci sguazzano (soprattutto chi è più su) ma tutti si deresponsabilizzano. E allora penso che l'azione destrutturante di Letizia Moratti in fondo uccida un sistema gia' in agonia. Penso che sia impossibile cambiare e inutile sperarci. Gramscianamente, sostengo e sosterrò ogni tentativo di migliorare (leggetevi quanto scritto da Marta Rapallini o dalla stessa Flaminia Saccà alla fine del libro). Ma forse - lancio agli
oratori questa provocazione - voltare pagina è uccidere la pianta, strozzare l'università e la ricerca scientifica. Forse allora potremo ricominciare. La strada per l'estinzione non è lontana, per l'età anagrafica dei professori e per le scelte politiche fatte.


Piero Angela (giornalista RAI e conduttore di SuperQuark)
Ho accettato volentieri di scrivere una prefazione a entrambi i libri dell'ADI visto che mi sento moralmente responsabile, a causa del sistema ricerca italiano. Poiche' col tempo, incontro sempre piu' persone che mi dicono di aver scelto la professione della ricerca, in vari ambiti, anche grazie alle mie trasmissioni, e la sorte che l'Italia riserva ai suoi cervelli, mi fa cosi' sentire responsabile per la vita non facile di un numero sempre maggiore di persone.
Sin da quando ho iniziato la mia carriera universitaria mi e' capitato di visitare laboratori americani pieni di giovani ricercatori italiani, e di sentirmi chiedere dai direttori perche' l'Italia rinunciasse a scienziati tanto brillanti. Questa situazione si protrae ormai da moltissimi anni, una causa e' senz'altro la gerontocrazia: e' raro trovare nella classe dirigente persone fra i 30 e i 40 anni, cosa che e' assai frequente all'estero. Un altro problema, spesso sottolineato, e' quello della mancanza di competizione sul merito, ed e' interessante notare come l''Italia sia invece un paese fortemente (persino eccessivamente) severo dal punto di vista meritocratico in alcuni settori. Pensiamo all'allenatore di una squadra di calcio: se la squadra viene sconfitta per alcune giornate di fila si comincia subito a parlare di sostituzione. Al contrario in molti settori il valore o il demerito di un ricercatore non ha la minima conseguenza sulle sue condizioni di lavoro.
Non che in Italia non ci siano buoni centri di ricerca, ma si e' erroneamente avallato un sistema fatto di sole di grande eccellenza in mare di mediocrita'. Questo è particolarmente dannoso, perche' abbassa il livello generale della consapevolezza scientifica e culturale, rendendo difficile anche a noi trovare spazi adeguati per la divulgazione scientifica. Ed esiste un preciso legame tra prosperita' economica e livello della ricerca scientifica.

Augusto Palombini (co-curatore del libro e segretario ADI)
Come curatore, insieme a Marco Bianchetti, di questo libro, intendo solo posizionare il problema e spiegare i nostri obiettivi.
Sono contento della presenza di R.Simone, il cui libro "l'universita' dei 3 tradimenti" fu uno degli spunti cha animarono la realizzazione di "Cervelli in Fuga": parlare di come la dissipazione delle intelligenze sia un male economico oltre che scientifico ed etico. Quando scrivemmo quel libro, l'intenzione era di mostrare i mali del sistema attraverso un sintomo: cioe' la fuga delle intelligenze. Quel messaggio venne in larga parte frainteso da stampa e politica, e la preoccupazione fu quella di curare il sintomo anziche' la malattia, preoccupandosi di far
rientrare i cervelli (che spesso non ci pensano nemmeno). cosi' abbiamo pensato di raccontare l'altra faccia del problema: le storie di chi e' rimasto. A indicare che il nocciolo della questione non e' nelle singole vicende umane e scientifiche, ma nel sitema che consente le condizioni aberranti in cui operano o da cui fuggono. Questo tipo di
"ricostruzione" passa certo per vie politiche (affermare la valutazione, contrastare un precariato dilagante) ma anche dal rifondare un contesto culturale assai radicato. In questo senso, credo che un libro come questo possa contribuire a un percorso necessario.

Raffaele Simone (Docente di Linguistica, Universita' di Roma 3)
Molto tempo fa ho affermato che l'Università italiana era un malato incurabile e che sarebbe servita un'azione di ricostruzione dalle fondamenta. E' anche vero che cio' rientra in un piu' generale contesto gerontoocratico che abbraccia in Italia praticamente tutto, e che condiziona pesantemente i livelli di produttivita', di efficienza e di benessere del nostro paese. Io e Piero Angela siamo al centro di questo tavolo e dell'attenzione. In questo ruolo dovrebbero esserci dei giovani. Cio' porta gradualmente e inevitabilmente a un impoverimento cuturale e scientifico. D'altronde, dobbiamo anche ricordare che nella nostra universita' vige un fittizio egalitarismo: tutti i professori prendono lo stesso stipendio, che siano premi nobel o che non abbiano mai prodotto nulla, e che l'attuale classe docente in grandissima parte e' entrata ope-legis o e' stata selezionata da docenti entrati ope-legis. Questo ci da' un'idea del tempo necessario per il ripristino di un reale sistema di selezione delle competenze, nonche' della complessita' che comporta il tipo di mutamento di cui stiamo parlando.

Chiara Peri (Orientalista, Dottore di Ricerca)
Personalmente, vorrei fugare due equivoci. Il primo riguarda la formazione. Io sono felice delle mie scelte universitarie. All'università ho ricevuto una formazione ottima da docenti di altissimo livello e questo è un patrimonio che riconoscero' sempre. In secono luogo, vorrei che non enfatizzassimo il ricambio generazionale in chiave di rivoluzione meritocratica. E' vero che le porte della carriera universitaria sono spesso chiuse ai giovani piu' meritevoli, ma ho visto spesso, da parte dei piu' giovani che entrano nel sistema, atteggiamenti peggiori degli anziani, senza nemmeno che questo fosse giustificato sul piano delle competenze.

Roberto Battiston (Docente di Fisica, Università di Perugia)
Oggi si parla tanto, e a ragione, di difficolta' della ricerca e dei ricercatori in Italia, specialmente, ma non solo, nel mondo dell'universita'. Ma questo stesso paese 30-40 anni fa, nel primo dopoguerra era riuscito a posizionarsi tra i primi posti al mondo in una serie di aree strategiche: dall' energia, allo spazio, all'informatica, alla chimica, alla fisica, all' elettronica fino ad assurgere ad una delle potenze industriali del pianeta. Che cosa e' successo in questi anni? Parte del problema consiste nell' affermazione di meccanismi per cui il merito e la qualita' della ricerca e dell' iniziativa personale sono stati sempre meno riconosciuti ed apprezzati, mentre hanno preso il sopravvento automatismi e meccanismi corporativi che evitando la valutazione dei risultati ottenuti, soprattutto nel contesto di un confronto internazionale, hanno permesso l'affermarsi di persone di minor valore che hanno contribuito a disegnare un sistema organizzato non piu' per competere a livello nazionale ed internazionale, ma strutturato per mantenere posizioni di rendita e di interesse personale. E' questo tipo di zavorra diffusa che rende difficile fare bene attivita' di ricerca nel contesto universitario, ambiente altrimenti affascinante e vivo per il grande numero di giovani che vi passano e per la notevole quantita' di cultura e esperienza che comunque lo contraddistingue. Occorre ricominciare dall' ABC, in questo caso dalla rivalutazione del merito, con criteri di valutazione oggettivi, secondo standard internazionali.
Tutti i paesi con economie emergenti, Cina in testa, associano una grandissima importanza a formazione e ricerca e applicano criteri durissimi di selezione dei migliori. Perche' in Italia abbiamo paura di fare altrettanto ? Perche' abbiamo paura che vi sia una sana competizione al nostro interno, in modo da esprimere una classe dirigente che poi riesca a farlo a livello internazionale ?

Flaminia Sacca' (Comitato Editoriale "Cervelli in Gabbia")
Se i giovani ricercatori italiani incontrano difficoltà e lungaggini enormi nel loro percorso di accesso alla carriera universitaria, la situazione si complica ulteriormente per le donne. Ne incontriamo pochissime ai vertici degli organigrammi accademici nazionali (1 solo rettore donna su 72, solo il 15% dei professori ordinari). Tuttavia assistiamo anche qui alla femminilizzazione della professione, gia' verificatasi in ambito scolastico: non appena una professione perde in potere d'acquisto (bassi stipendi) e in immagine, ecco che gli uomini si dirigono verso il privato (ben piu' qualificante e remunerativo) e si aprono gli accessi alle donne (che ritroviamo in numero elevato fra le ricercatrici). Il problema è di una generale riqualificazione dell'università, da affrontarsi tramite seri meccanismi di valutazione ex post, che premino la cooptazione d’eccellenza, legando i finanziamenti alla produttività e a criteri qualitativi, e non solo al numero di laureati, ad esempio.